L’Albergo dei Poveri, il simbolo più grandioso della munificenza della società genovese, venne fondato a metà del Seicento da Emanuele Brignole, per radunare in un unico complesso tutti gli istituti di mendicità cittadini.
L’Albergo dei Poveri, il simbolo più grandioso della munificenza della società genovese, venne fondato a metà del Seicento da Emanuele Brignole, per radunare in un unico complesso tutti gli istituti di mendicità cittadini.
Nato nel 1617 in una delle famiglie più facoltose della nobiltà dell’epoca, Brignole decise già in giovane età di mettere sé stesso ed il suo immenso patrimonio al servizio dei bisognosi. Molte furono le istituzioni caritative da lui beneficate, dal Lazzaretto della Foce alla Casa di Nostra Signora del Rifugio, fondata da Virginia Centurione Bracelli, di cui divenne uno dei maggiori sostenitori, al punto che le fanciulle che vi venivano accolte saranno soprannominate “Brignoline”.
Ma il suo nome è legato principalmente dell’Albergo dei Poveri, in cui avrà un ruolo centrale nelle scelte architettoniche e gestionali e di cui sarà il più importante benefattore. La costruzione, iniziata nel 1656, fu lunga e laboriosa e, nonostante si protrasse fino all’Ottocento, alla fine l’edificio risultò comunque incompleto rispetto al progetto originario. Questo, che era stato elaborato da un’équipe di architetti fra i quali Stefano Scaniglia, Girolamo Gandolfo e Giovanni Battista Ghiso, prevedeva un enorme quadrilatero di 174 metri di lato entro cui si inseriva un organismo a croce greca destinato al culto, secondo una ormai codificata tradizione ospedaliera che traeva ispirazione dal quattrocentesco modello del Filarete per l’Ospedale Maggiore di Milano. Ed infatti la maggiore difficoltà incontrata fu quella di collocare, nella stretta e scoscesa valle di Carbonara, una struttura dall’impianto così rigido ed esteso.
Per quanto riguarda il tipo di organizzazione invece l’Albergo dei Poveri di Genova fu il primo del genere ad essere costruito in Italia ed uno dei primi in Europa.
Si sarebbe trattato di un reclusorio basato sul lavoro.
I ricoverati, rinchiusi al suo interno e suddivisi in base al sesso e all’età, avrebbero dedicato la loro giornata alla preghiera e allo svolgimento di attività manuali, con cui contribuivano all’autofinanziamento del complesso.
Ritratto di Emanuele Brignole (che indica con la mano l’Albergo dei Poveri)
Giovanni Bernardo Carbone, 1614-1683
Il suo Corpo fatto Cadavere, vuole, che s'interri nella Chiesa Parrocchiale del Nuovo Albergo de' Poveri, posto in Carbonara; cioè presso l'Altar Maggiore, nella parte, dove sogliono scendere i Poveri del Salone alle loro devozioni, affinché il suo Cadavere giaccia sempre sotto i piedi de' Poveri, che grandemente amò in vita.
Alla fine del Seicento si contavano già 2.600 internati.
L’operato del Brignole venne tuttavia aspramente criticato attraverso una denuncia anonima presentata al Senato il 15 marzo 1674. Lo si ritenne responsabile, fra le altre cose, dei costi eccessivi del cantiere dell’Albergo, dovuti in parte anche alla sua scelta di conferire alla struttura un’esplicita magnificenza architettonica, che avevano compromesso lo stato delle finanze dell’Ufficio dei Poveri che per la maggior parte li sosteneva.
La vicenda ebbe ripercussioni sia sulle successive fasi costruttive dell’Albergo, che venne ridimensionato, sia sulle già fragili condizioni di salute del suo fondatore.
A causa dell’aggravarsi dei suoi problemi fisici, ma anche per allontanarsi temporaneamente da Genova, il Brignole decise pertanto di recarsi a Piacenza, dove si affidò alle cure di uno stimato specialista, Stanislao Omati.
Ne nascerà una vivace disputa fra questi e il medico che aveva precedentemente avuto in cura il Brignole, che proseguirà negli anni successivi, anche dopo la morte dell’illustre paziente avvenuta nel 1678.
Le ultime volontà di Brignole, furono quelle di essere seppellito nella chiesa dell’Albergo, sotto una lastra senza nome davanti all’ingresso dei poveri e rivestito della loro divisa, “povero tra i poveri”, come egli stesso lasciò scritto, “per essere calpestato dai loro piedi”.